A non saperlo prima, sarebbe difficile intuire tanto interesse da parte della pittrice romana Silvia Galgani per l’arte antica, tanta dimestichezza anche con la sua materia espressiva, per via di un’attività di restauratrice che l’ha portata ad avere a che fare con diverse opere di pregio, alcune delle quali appartenenti al suo amato Barocco. È che le opere della Galgani, ancorate a un forte senso della modernità che si nutre abbondantemente del secolo scorso senza peraltro mancare di mantenersi attuale, non richiamano esplicitamente l’arte antica. Semmai la presuppongono, come condizione storica, fisica e spirituale su cui innestare un processo estremo di rarefazione, nel tentativo di distillare dal tutto considerato un’essenza, una sintesi minimale in grado di porsi, rispetto a quella relatività di tempo e di gusto, come un assoluto che superi qualsiasi distinzione dicotomica fra passato e presente. Non citazioni dirette, quindi, ma tanto meno fedeli riproduzioni, ma evocazioni lontane di memoria storica che portano la Galgani a elaborare, in loro corrispondenza, archetipi che rinviano a un immaginario ancestrale, per quanto improntato a un istinto razionale e astratteggiante. Fregi, metope, scudi, opportunamente ridotti a cifre elementari, quasi emblemi, diventano così i termini di un linguaggio puramente artistico che niente potrebbe comunicare al di là di sé stesso, mettendo in relazione forme geometriche in sovrapposizione l’una sull’altra che a loro volta stabiliscono rapporti con colorazioni particolari, ora tendenti all’accordo, ora in dissonanza, ora brunite e terrose, ora luminose e preziose, prevedendo, prampolinianamente, anche l’inserzione di elementi eterogenei come la foglia d’oro. Si starebbe nell’orbita della riproposizione di certe esperienze capitali del Novecento, come, per esempio, quella di Mark Rothko, se la Galgani non prediligesse il lavorato grezzo al levigato, lasciando che la materia si mantenga d’aspetto ruvido e conservi marcate tracce dell’intervento artistico, come se anche questa fosse memoria da ricordare. Ma in ciò consiste una parte considerevole della sua originalità d’autrice.
Vittorio Sgarbi